Vi racconto una favola...

C’era una volta una bambina. Aveva le guance rosa e la pelle chiara. Aveva soffici boccoli biondi e limpidi occhi azzurri, ma non poteva parlare. Era la bambolina di porcellana della sua mamma.
Un triste giorno di novembre, la mamma morì, e la bambina di porcellana rimase sola con i due fratelli e il papà. Il padre voleva molto bene ai suoi figli, ma sentiva tanto la mancanza della moglie, una donna dolce, bella e generosa come mai se n’erano viste in quelle lande e mai più se ne sarebbero viste di nuovo nei tempi a venire. Il padre cercò allora conforto nella compagnia di altre donne, ma era tutto inutile, nessuna somigliava al suo dolce angelo, quindi finì per accettare solo la consolazione della bottiglia, perché solo nei sogni che essa offriva egli riusciva ad essere felice di nuovo.
Con la mamma in paradiso e il papà nelle locande, la bambina di porcellana aveva solo i fratelli che si curavano di lei. Ma quello che né la mamma né il papà avevano mai saputo, era che i due fratelli detestavano la piccola bambola bambina. Fin da quando era nata, l’avevano torturata con scherzi crudeli, strappandole i bei capelli biondi, pizzicandole la candida pelle, distruggendole i giochi che la mamma le regalava. La piccola indifesa soffriva e piangeva, ma non sapeva ancora scrivere e non aveva la voce, per cui i fratelli sapevano di potersi divertire con lei quanto volevano.
Ora la bella bambolina era il loro gioco preferito, nel silenzio della casa vuota. Nessuno si curava più di loro, o di quanto dolore riuscissero a procurarle. Nessuno accorreva alle urla di una bambina senza voce.
Gli unici momenti in cui la bimba non veniva tormentata, erano durante le brevi visite della giovane donna bruna che portava loro latte, pane e qualche pezzo di formaggio. La donna era stata amica della mamma, e sapeva che la triste famiglia stava attraversando un momento di bisogno. Avrebbe desiderato portare i bambini a casa con sé, ma aveva già una sua famiglia e non poteva provvedere a tutti quanti. La sua casa era molto lontana, serviva molto tempo per attraversare la valle ed arrivare dai tre bambini, ma la donna aveva voluto molto bene alla loro mamma, e cercava di andare ogni volta che poteva, anche se l’inverno avanzava e le strade erano faticose da percorrere.
Una di queste visite stava appunto volgendo al termine, quando la bambola bambina si trovò sola nella sua camera. I suoi fratelli stavano accompagnando la donna bruna fino alla bottega all’inizio del paese. La bimba sentiva tanto male per quello che le avevano fatto i due fratelli, non riusciva a camminare con loro. Avrebbe voluto farlo capire alla donna bruna, che era tanto gentile con lei, ma i suoi fratelli non le lasciavano sole nemmeno per un momento, così mosse le mani per indicare che aveva molto sonno e voleva dormire. La donna l’aveva messa nel lettino e le aveva rimboccato le coperte prima di uscire con i due bambini.
La bimba pianse quando loro uscirono. Le mancava la sua mamma, le mancava il suo papà. Era stanca del dolore. Abbracciò la sua bambola di porcellana, quella che le somigliava tanto, quella che la mamma le aveva portato dalla città qualche giorno prima di andare in Paradiso.
Desiderò di essere una bambola, desiderò di non sentire più nulla.
C’era una volta una bambina che aveva dimenticato il lieto fine delle favole, perché la vita era troppo dura, e per salvarsi nascose la sua anima in una bambola, diventando a sua volta un vuoto involucro color porcellana.
Ma la magia non servì. I fratelli tornarono e la trovarono immobile e delicata come la bambola bionda seduta accanto a lei. Pensarono si stesse prendendo gioco di loro, e cercarono di farla smettere tirandole i capelli e pizzicandola. Quella che era stata la loro sorellina rimase immobile, con gli occhi azzurri fissi su di loro e un lieve sorriso sulle labbra rosa. I fratelli si infuriarono. I pizzicotti divennero più forti, e i capelli iniziarono a venire strappati a ciocche intere. Ma la bambina di porcellana non sembrava sentire il dolore.
Il fratello più grande prese la verga e iniziò a colpirla con quella. Lunghe strisciate di sangue macchiarono la pelle candida della bambina, ma il sorriso rimase intatto sulle sue labbra.
I due fratelli ebbero paura, i suoi occhi sembravano accusarli e il sorriso pareva deriderli. Ma loro erano più grandi, non potevano farsi spaventare dalla bimba. Dovevano solo farla smettere di sorridere. Dovevano coprirle gli occhi. I fratelli presero la coperta dal lettino e la schiacciarono sul viso dai tratti delicati. Premettero e non smisero che dopo molto tempo. Non si accorsero che il piccolo petto della bambina aveva ormai cessato di alzarsi ed abbassarsi.
Quando ormai le braccia furono stanche di schiacciare la coperta sul viso della sorellina, sollevarono la coltre.
Urlarono quando videro cosa avevano fatto. La bambina non era più color porcellana. Era grigia come una bambola dimenticata in soffitta per cento anni. Profonde crepe le percorrevano le guance non più rosee, e le labbra erano spaccate in più punti. Una palpebra era abbassata, ma l’altro occhio era spalancato, il limpido azzurro sbiadito in un bianco giallastro e malato.
Il più giovane scoppiò in un pianto impazzito, mentre il maggiore non riusciva ad allontanarsi da quel corpo immobile.
Non videro la bambola muovere gli sferici occhi azzurri su di loro. Non la videro aprire piano le labbra, in un ghigno di denti aguzzi e famelici. Non badarono alle piccole mani di porcellana, che si sollevarono mentre le unghiette si allungavano fino a divenire lunghi artigli arcuati.
Solo quando la bambola rise, si accorsero di lei.
Quello che avvenne dopo non è dato saperlo, ma dei due fratelli nessuno ebbe più notizie. Quando la donna bruna tornò nella casa della sua amica del cuore, trovò la bambina morta nel suo lettino, ancora con le coperte rimboccate come le aveva lasciate nella sua ultima visita. Era così serena e in pace da sembrare una bambolina di porcellana, raccontò la donna alla sua famiglia quando tornò nella sua valle. E aggiunse che si era commossa quando aveva visto che la bimba teneva accanto a sé tre bambole con le fattezze dei due fratelli maggiori e di sé stessa. Dovevano essere molto legati, disse la donna bruna asciugandosi una lacrima, prima di tornare ad occuparsi della cena.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

bhe ho aperto il tuo blog per caso e ho letto questo. davvero bello,mi ricorda tanto il caratttere di una persona. mi è piaciuto un sacco,complimenti.

Lennie MissSparkle ha detto...

Grazie sconosciuto.
Ho avuto una giornata un pò così, e questo commento inatteso mi ha davvero fatto piacere.

deasense ha detto...

Con queste parole sei arrivata sino alle corde del mio io più nascosto...
Complimenti.
Una piacevole scoperta quella del tuo blog.