A Meno Che, di Carol Shields






 Da oggi in poi la vita le sembrerà ogni giorno meno somigliante alla vita.


Non conoscevo Carol Shields, ho scoperto solo dopo aver terminato il romanzo che ha vinto il premio Pulitzer con In cerca di Daisy, che sicuramente leggerò. Né sapevo che A meno che è stato l'ultimo romanzo che ha scritto prima di morire, all'età di 68 anni, per cancro al seno. Mi sono chiesta se una malattia così terribile e squisitamente femminile le abbia ispirato le riflessioni che hanno portato al concepimento di questo romanzo, una storia che parla di donne, della condizione delle donne e di donne che scrivono. Soprattutto di donne che scrivono. E' come se, giunta ormai alla fine del suo viaggio, la Shields abbia voluto togliersi un fastidioso sassolino dalla scarpa, raccontando al mondo quanto sia seccante essere considerata prima di tutto una donna, inteso in senso penalizzante, e poi una scrittrice. Esprime questa lamentela attraverso le lettere (immaginarie) che la sua protagonista, Reta, scrive ad una serie di personaggi "del settore" che parlano di autori influenti, e chissà come mai sembrano dimenticarsi sempre che esistono anche importanti autrici donne nella storia della letteratura.
Un comportamento del genere potrebbe suscitare commenti tipo "eh, ma che puntigliosa" (per usare termini gentili), ma Reta ha un motivo importante per cui si trova a fare queste considerazioni: sua figlia maggiore, 19 anni, un brillante futuro davanti, un ragazzo con cui stavano iniziando a costruire una vita, bella e intelligente, di punto in bianco molla tutto e preferisce trascorrere le sue giornate seduta su un marciapiede, mendicando, comunicando con il mondo solo attraverso un cartello bianco che tiene appeso al collo, un cartello su cui è scritta un'unica parola, Bontà.
Come reagire ad un simile evento? Come interpretarlo? Che cosa l'ha scatenato?
Reta e la sua famiglia, spiazzati, incapaci di comprendere, si attaccano
alle piccole cose per andare avanti, alla quotidianità. Per non farsi divorare dalla tristezza, bisogna andare avanti, avanti con gli incontri del martedì con le amiche, avanti con le cene in famiglia con la suocera (che però diventa via via sempre più silenziosa, fino a non parlare quasi più), avanti con le partite di pallacanestro delle altre due figlie (che cercano di colmare il vuoto opprimente con chiacchiere leggere, battute e scherzi, come se niente fosse accaduto), e soprattutto avanti con il lavoro. Reta fa la scrittrice, e decide di dedicarsi alla scrittura del suo secondo romanzo, il seguito del primo. Come il precedente, anche questo dovrebbe essere uno scritto leggero e senza pretese, ma la sua protagonista, Alicia, è tormentata da dubbi e incertezze, così alla fine viene fuori un romanzo di riflessione, di crescita, tanto che l'editor di Reta decide che, essendo un romanzo così profondo, la protagonista non può più essere una donna, Alicia appunto, ma piuttosto Roman, il suo fidanzato, e che la stessa Reta avrebbe dovuto pubblicare il libro usando solo le iniziali, spacciandosi quindi per un uomo, come a dire che le donne si possono occupare solo di questioni leggere, lasciamo la filosofia al sesso forte.

Le considerazioni della Shields sul sessismo nella scrittura sono una triste realtà. E' risaputo, ad esempio, che diverse autrici per farsi strada hanno dovuto (o preferito) fingersi uomini o comunque far credere alla gente che fossero uomini (il caso più recente è quello di JK Rowling). Io stessa, devo ammetterlo, quando penso ai miei autori preferiti mi rendo conto che sono quasi tutti uomini, e credo che la colpa sia del fatto che prediligo la letteratura di genere (horror/thriller/fantasy), dove a quanto pare il dominio è nettamente maschile.
Comunque, divagazioni sulla discriminazione a parte, torniamo al romanzo.

A meno che mi è piaciuto e mi ha annoiato quasi allo stesso modo. Io non sono fatta per immagini troppo poetiche, descrizioni troppo metaforiche, lunghi giri di parole. Io preferisco leggere un linguaggio semplice, diretto, ridotto all'essenziale. Amo la psicologia di un personaggio se ben approfondita, ma i pistolotti riflessivi dopo un po' mi causano un calo di attenzione. E’ un mio limite, ne sono consapevole, e credo sia il motivo per cui non sono mai riuscita ad avere un buon feeling con la poesia.
Ma la storia raccontata, in sé, l’ho trovata interessante ed originale: non capita tutti i giorni di pensare “ma se mia figlia di punto in bianco diventasse una mendicante, io come reagirei?”. Di conseguenza, mi sono anche trovata a riflettere su quanto dev’essere dura la vita dei  genitori dei grandi personaggi che hanno abbracciato una causa che li ha portati a mettersi completamente da parte a favore del prossimo. Un esempio banale: mettiamo che io abbia un figlio per il quale ho già immaginato un brillante futuro, una famiglia, una bella casa, un’istruzione, un buon lavoro. Magari ho faticato tanto per dargli queste possibilità. Poi lui un bel giorno, appena maggiorenne, molla tutto e se ne va in un posto di guerra a prestare aiuto alla popolazione sofferente. Un gesto nobile, una persona da ammirare, c’è di che essere orgogliosi. Ma come la vivono i genitori? Non credo siano sempre così sereni nell’accettare questo tipo di scelta, nemmeno quelli che dicono di esserlo. In fondo, quando sei madre (o padre) il benessere di tuo figlio ha la precedenza rispetto al benessere del resto del mondo (è biologico). Dev’essere difficile essere la madre di Gesù, questo ho pensato durante la lettura. Probabilmente, la Shields non aveva neanche intenzione di suggerirmi questo tipo di riflessioni, ma questo aspetto mi ha colpito molto, forse perché non mi ero mai fermata prima a pensare a questi aspetti del martirio.

Un’altra cosa che mi è piaciuta davvero molto del romanzo è la parte relativa al processo creativo di scrittura. La costruzione dei personaggi di Alicia e Roman da parte di Reta è davvero affascinante. Io  mi interesso da sempre di scrittura creativa (sono una delle centinaia di migliaia di scrittori mancati che c’è al mondo), e vedere quanto nel dettaglio vada Reta (e di conseguenza la Shields) nella creazione dei suoi protagonisti è estremamente interessante.


 

Tutti possiamo essere affascinanti. E ci vuole poco, è straordinariamente facile: basta imprigionare i raggi del sole e poi ributtarli fuori.

Due anni fa abitavo un'altra forma di esistenza, ero ben lontana dall'immaginare la sofferenza che oggi mi spezza il cuore. Qualche volta erano piccoli dolori per una mancanza di rispetto, perdite da nulla, piccoli tradimenti patiti, persino recensioni cattive: ecco di cosa pensavo fosse fatta la sofferenza; la tragedia non assomigliava ai miei libri. 

Ecco perché leggo romanzi: per sfuggire alla presa incessante di questo monologo con me stessa.

"A meno che" è la voce dell'inquietudine. Ti sfiora l'orecchio come una falena: la senti appena, eppure tutto dipende da questo sussurro. A meno che: è la congiunzione inerte che porti con te, come una pietruzza nella piega di una tasca. Sempre presente, o assente.
A meno che tu non abbia abbastanza fortuna, o abbastanza salute, a meno che tu non sia abbastanza fertile o non abbia qualcuno che ti ama e ti sostiene, a meno che tu non abbia chiarezza sul tuo orientamento sessuale o non abbia le stesse opportunità che si offrono ad altri, be', allora sei destinato a sprofondare nel buio e nella disperazione. "A meno che" è un'uscita di sicurezza, è un tunnel che va verso la luce, il rovescio del non abbastanza.

Dal momento che Tom è un uomo, e dal momento che gli voglio bene, non gli ho detto come la penso: che il mondo è diviso in due; ci sono coloro ai quali il potere è dato al momento stesso della nascita e prima ancora, sin dalla gestazione, perché, per una legge del caso a quanto pare, hanno uno specifico cromosoma che dice sì, sì, dice sempre sì. E poi ci sono quelle come Norah, (...) come me e come tutte noi che apparteniamo inspiegabilmente all'altra metà: in noi al potere di gridare che esistiamo e di reclamare il diritto alla vita si è sostituita una pulsione a rinchiuderci dentro il nostro corpo, a sigillarci la bocca come se fossimo un nulla di fronte ai fuochi d'artificio, le scie delle stelle e la luce abbagliante del big bang. E' questo il problema.  Forse il mio è un grido un po' esagerato (...). C'è troppo sentimento, troppa foga, un abbandono un po' troppo femminile. Ma non importa: voglio gridarlo, fosse anche solo a me stessa. Gridare è pur sempre una forma di coraggio. L'ho capito solo adesso. Come sempre, troppo tardi.



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1 commento:

Baol ha detto...

Ciao "principessa"

:)