David Copperfield, di Charles Dickens



 "Diranno queste pagine se nella mia vita sarò io il protagonista, 
o se tale posto d'onore debba toccare ad altri"


La prima considerazione che posso fare, dopo aver detto addio ai meravigliosi personaggi di questa bellissima storia, è che è un peccato che non abbia letto David Copperfield quando ero ancora in età scolare, a 13-14 anni. Mi avrebbe appassionata tantissimo, credo anche più di quanto non abbia fatto leggendolo ora, con più di 20 anni di ritardo, e di sicuro mi sarei accostata alle avventure del giovane Copperfield nel modo più corretto, dato che è chiaramente un romanzo per ragazzi, nonostante le sue 800 e passa pagine fitte fitte.

La narrazione è semplicemente deliziosa, Dickens non amava i paroloni e il linguaggio che dice tanto senza però dire nulla. Preferisce, per così dire, la sostanza, e questo rende il suo modo di scrivere estremamente piacevole e moderno: 
"Si discorre intorno alla tirannia delle parole, ma ci piace anche farla da tiranni nei loro confronti; troviamo infatti molto gradevole possedere una grande riserva di parole superflue a cui attingere nelle varie occasioni; pensiamo sia importante e produca piacere all'orecchio. E come non ci interessa di approfondire il significato delle nostre pompe nelle occasioni solenni, purché siano abbastanza belle e abbondanti, diamo  un'importanza secondaria al significato o all'utilità delle parole di cui ci serviamo, purché formino grandiosi cortei. E come i singoli incorrono nei guai facendo eccessivo sfogo delle ricchezze, o come gli schiavi troppo numerosi possono finire per ribellarsi ai loro padroni, così credo che potrei fare il nome di un paese che si è trovato molte volte in difficoltà, e incorrerà in altre difficoltà ancor più numerose per voler mantenere un patrimonio eccessivamente vasto di parole."

La prima parte, quella intrisa di forte sofferenza, rapisce il lettore per trascinarlo nel lato oscuro della storia inglese (ma non sono poi forse temi sempre attuali?): il patrigno spregevole e
la sua arida sorella, che prendono possesso di una casa fino a quel momento felice per ridurla ad un luogo freddo e inospitale, dove tutti soffrono e un bambino buono, intelligente e fino a quel momento molto amato viene etichettato come da correggere perché irrimediabilmente cattivo, e mandato lontano, scacciato dalla sua casa, costretto a crescere in fretta tra i muri inospitali di un collegio guidato da un uomo sadico ed ignorante. E come se questo non bastasse, quando la situazione a casa precipita in via definitiva, al povero bambino (estremamente volenteroso e promettente) viene negata l'istruzione e costretto a lavorare e vivere in affitto da solo, come un adulto. Ma David adulto proprio non è, e dopo aver subito questa grama condizione per un periodo fin troppo lungo senza mai lamentarsene, decide che non può continuare in quel modo.
Per cui scappa, diventa un vagabondo e a piedi copre la distanza tra Londra e Dover, dove chiede aiuto alla donna più straordinaria di tutto il romanzo: la zia Betsey. Una donna orgogliosa, caparbia, intelligente e generosa, un personaggio a mio parere estremamente moderno.
La zia accoglie il piccolo David (da quel momento Trotwood), ne canta quattro al suo odioso patrigno e alla orrida sorella, e finalmente gli regala quella vita che il bambino non poteva nemmeno più sognare: negli anni successivi, Copperfield crescerà circondato da persone che lo amano profondamente (oltre alla dolce e saggia Agnes, come dimenticare il fantastico signor Dick?) e riceverà un'ottima istruzione, andando poi a fare l'apprendistato da procuratore a Londra.
Qui la storia si ingarbuglia, perché mentre Copperfield inizia a perdere la testa per la sua Dora, la sposa-bambina così frivola e sciocca, ma al contempo così affettuosa e innocente che non si può non affezionarsi a lei e a quella peste di Jip, i molteplici personaggi che costellano le pagine del romanzo (Peggotty e Barkis, il signor Peggotty, la signora Gummidge, la piccola Emily, Ham, Traddles, Steerforth, Martha, i signori Micawber, e anche l'odiatissimo, spregevole, disgustoso Uriah Heep) sono pieni di storie da raccontare, storie che si intrecciano, si dipanano, scorrono liete per un po' e tragiche per un altro po'. Perché non è solo il racconto di una vita intera, quella di David Copperfield appunto, ma è la storia di tante vite, di tanti personaggi che, una volta girata l'ultima pagina, chiusa la copertina e riposto il libro sullo scaffale, ci accorgiamo che sono rimasti lì con noi, in un angoletto speciale del nostro cuore, quello dedicato alle buone storie, quelle che ci fanno sorridere, piangere, e che ci tengono compagnia a lungo.
Ci sarebbe molto ancora da dire su questo libro, sulle scenette comiche, sull'importanza dell'impegno così fortemente promossa da Dickens in tutto il romanzo (sintetizzando, la storia non è altro che la vittoria della dedizione, della volontà di farcela, contro le avversità. Copperfield arriva ad avere successo in tutto ciò che fa perché ci si dedica sempre anima e corpo, ne è grande dimostrazione la storiella della stenografia), dell'importanza di perdonare gli errori di chi amiamo (si veda il diverso destino di Emily e di Steerforth) e di accettare le persone per quello che sono (Dora, il signor Dick), della devozione, delle numerose importantissime figure femminili che la fanno da padrone in tutto il libro... Insomma, tanto ci sarebbe da dire, ma francamente mi sono dilungata anche troppo. Meglio leggere il romanzo e scoprire da soli che cos'ha da raccontare.
E come dice Isabelle nel bellissimo Hugo Cabret "I think I'm halfway in love with David Copperfield."

(due ulteriori velocissime inutili considerazioni:
- ma davvero a quell'epoca la gente piangeva e sveniva così spesso? Se è così, allora la storia ci ha proprio induriti...
- se il romanzo venisse presentato ad un editore adesso per la prima volta, non ho dubbi che verrebbe pubblicato solo dopo aver tagliato almeno un 300 pagine. I tempi cambiano.



"Dio mi è testimone che una parola buona detta in quel momento avrebbe potuto migliorarmi per tutta la vita, fare di me un uomo diverso. Una parola di incoraggiamento e di spiegazione, di pietà per la mia infantile ignoranza, di benvenuto a casa per rassicurarmi che si trattava ancora della mia casa, mi avrebbe reso di buon grado ubbidiente invece che ipocritamente mansueto, mi avrebbe indotto a rispettare quell'uomo invece di odiarlo (...) Ma nessuna parola venne pronunciata, il momento per dirla era trascorso invano."
"Uriah si contorceva con tanta indiscreta soddisfazione e auto umiliazione, che sarei stato contento di poterlo scaraventare giù da una balaustra."

"...dopo  che ebbi offerto i miei omaggi alla signora Waterbrook, mi presentò molto cerimoniosamente a una tremenda signora in abito di velluto nero e con grande cappello pure di velluto nero, che, ricordo, aveva tutta l'aria di essere una parente prossima di Amleto... diciamo forse una zia del principe. (...)
A tavola Traddles e io eravamo separati, ci assegnarono due angoli opposti: lui di fianco allo splendore di una signora in velluto rosso; io all'ombra della zia di Amleto. Il pranzo fu molto lungo, e la conversazione aveva per argomento l'aristocrazia e il sangue blu. La signora Waterbrook ripeté più volte che, se aveva una debolezza, era per il sangue blu.
Mi venne più volte di pensare che saremmo stati più allegri se fossimo stati un po' meno distinti. Ma eravamo così straordinariamente distinti che le possibilità di conversazione erano molto limitate. (...) Per dare la stura alle cose, la zia di Amleto aveva la malattia di famiglia di indulgere in soliloqui e si abbandonava a trattare da sola e in maniera sconnessa ogni argomento che venisse proposto. Gli argomenti erano davvero pochi, ma siccome non si faceva che ricadere su quello del sangue blu, ella vi trovava un campo di speculazioni astratte non meno vasto di quello del nipote.
Ci saremmo potuti trovare a un banchetto fra orchi, tanto la conversazione aveva per oggetto il sangue."

"...a quel tempo (...) non veniva considerata una qualità molto notevole far mostra di indifferenza verso tutte le azioni e le passioni umane. Più tardi so che è diventata molto di moda. L'ho veduta esercitare con tale successo che certe belle signore e certi gentiluomini da me incontrati sarebbero potuti benissimo essere nati bruchi."

"Che Dio benedica questo cagnolino! - esclamò mia zia. - Se avesse tante vite come un gatto, e fosse sul punto di perderle tutte, credo che con l'ultimo respiro mi abbaierebbe contro!"

"Ciò di cui sentivo la mancanza era  (...) qualcosa che aveva fatto parte dei sogni della mia immaginazione giovanile, del tutto irrealizzabili, che ora avevo scoperto come tali con una certa naturale sofferenza, come certo accade a tutti."

"Sollevai la sua mano pesante come piombo e la tenni stretta al cuore; in tutto il mondo non vi era che morte e silenzio, unico suono il gemito di sua madre."

"..le cose che non accadono sono sovente per noi, per l'effetto che producono, altrettanto reali di quelle effettivamente avvenute."


"Nel matrimonio non vi è nulla di peggio della diversità di opinioni e di propositi."

"A quanto ho già scritto sulla mia perseveranza in quel periodo della mia vita, e sulla energia paziente e costante che allora cominciava a maturare in me, e che riconosco come la parte più forte del mio carattere, per quel poco di forza che esso possiede, aggiungerò solo che in ciò ritrovo, ritornando ad allora, la fonte del mio successo. (...) non avrei mai potuto realizzare ciò che ho fatto senza l'abitudine alla puntualità, all'ordine, alla diligenza, senza la volontà di concentrarmi su un unico oggetto per volta, non preoccupandomi della rapidità con cui sarebbe sopravvenuto il prossimo, tutte qualità che andavo allora acquistando.
(...) Voglio soltanto affermare che qualunque cosa abbia tentato di fare nella vita, mi sono sforzato con tutto il cuore di compierla bene; che a qualunque cosa mi sia dedicato ho donato tutto me stesso; e che, affrontando gli scopi minori sia quelli più grandi, mi sono sempre comportato con il massimo impegno. Non ho mai creduto che alcuna abilità naturale o acquisita possa dare buoni risultati senza essere accompagnata dalle semplici qualità della fermezza e della laboriosità. (...)
Ora trovo che le mie regole d'oro siano stare le seguenti: mai por mano a nulla senza avere la certezza di potervisi interamente dedicare; mai fingere di svalutare il proprio lavoro, qualunque esso sia."


"Il mio consiglio è di non fare mai domani quello che si può fare oggi. Il procrastinare ci ruba il tempo: bisogna tenerlo stretto!"

Share |

Nessun commento: