Una cosa divertente che non farò mai più, di David Foster Wallace





"Ho visto spiagge di zucchero e un'acqua di un blu limpidissimo. Ho visto in completo casual da uomo tutto rosso col bavero svasato. Ho sentito il profumo che ha l'olio abbronzante quando è spalmato su oltre dieci tonnellate di carne umana bollente. Sono stato chiamato "Mister" in tre diverse nazioni. Ho guardato cinquecento americani benestanti muoversi a scatti ballando l'Electric Slide."


Ho scoperto con questo libro uno scrittore geniale, sagace, divertente ma capace di osservazioni pungenti.
Un libriccino come questo, una esilarante storiella di un viaggio in crociera, riesce ad essere una critica acuta e diretta alla società odierna, al lusso sfacciato, allo spreco, allo sfruttamento, ma soprattutto alla stupidità e pochezza umana.

Subito dopo aver finito il libro, sono andata a cercarmi informazioni su David Foster Wallace in rete, e ho così appreso che purtroppo è morto suicida, pare a causa
della depressione di cui soffriva da 20 anni, nel settembre 2008 (il che in parte spiega perchè negli ultimi anni ho visto suoi libri un po' dappertutto, perchè ben sappiamo che la validità di uno scrittore viene sovente riconosciuta dalla massa solo dopo la sua morte. Eccomi, io faccio parte della massa, e se non mi fossi ritrovata in continuazione sotto al naso i libri di Wallace ogni volta che andavo in libreria, non avrei mai iniziato a leggerne le trame, segnandomi alcuni titoli e rimanendo incuriosita a tal punto da procurarmene un paio, tra cui questo, che mi ha subito conquistata. Non ci sarebbe nulla di male in tutto questo, anzi credo sia uno dei normali processi di avvicinamento a nuove letture, solo che avrei preferito che le librerie italiane venissero invase dai suoi libri prima che morisse, non dopo. Niente, una considerazione come un'altra). Questo, da un punto di vista puramente egoistico, mi rattrista perchè i contemporanei che amo li posso contare sulle dita di una paio di mani, e sapere che uno di questi se n'è andato (e la sua bibliografia, di conseguenza, non aumenterà: una volta che avrò letto tutti i libri che ha scritto, non ci sarà speranza di leggerne altri. Il che vale per utti gli autori defunti, ma quando ho letto il libro io pensavo fosse ancora vivo e vegeto, giusto forse non più tanto giovane, per cui potete immaginare il mio disappunto) da -relativamente- poco tempo, mi ha colpito molto.
Comunque, queste sono mie riflessioni personali che nulla c'entrano con il libro.

Ecco invece una cosa che c'entra un po' con la storia: fino a che non ho letto il libro di Wallace, anch'io ogni tanto mi ero baloccata con l'idea di andarmene in crociera. Immaginavo lunghe giornate oziose, sdraiata sul bordo di una piscina circondata dal mare, serate tranquille a guardare la notte che si specchia sull'acqua, visite a posti incantevoli, cibo delizioso a volontà, possibilità di partecipare a serate divertenti, semmai avessi voglia di stare un po' in compagnia.
Il saggio di Wallace mi ha fatto ricredere, descrivendomi nel dettaglio che vero e proprio inferno sia una crociera di lusso, soprattutto per quelli, come me, che sono abituati ad essere perfettamente indipendenti e non amano dover adeguare i propri ritmi a quelli di altre persone, soprattutto in vacanza, e specialmente odiano con tutto il cuore dover socializzare per forza. Per quelli come noi che evitano come la peste le vacanze organizzate (considerabili, a mio parere, solo quando ti devi recare in territori non proprio civilizzati oppure alquanto ostili), stare segregati per una settimana all'interno di un palazzo circondato da acqua, in cui tutto il personale ha il preciso dovere di farti divertire e viziare, e se non partecipi alle attività sociali (possibilmetne con il corretto abbigliamento) vuol dire che non ti stati divertendo abbastanza (oppure che sei uno strano, un sociopatico), equivale ad una vera e propria tortura, e l'unico modo che si ha per sfuggirvi è chiudersi in cabina, come reclusi... cabine che, spesso, non hanno nemmeno un balconcino sul mare e che misurano pochi metri quadrati. Non puoi nemmeno startene sulle tue, perchè comunque il tavolo dove consumi i tuoi pasti principali è grande e condiviso con altri viaggiatori, gli stessi per tutta la settimana. E chi si è mai sentito in imbarazzo a sedersi con 6-8 estranei ad un matrimonio per tutta la durata del pranzo, non farà fatica ad immaginare come dev'essere moltiplicare quell'imbarazzo per almeno 14 pasti, tra pranzi e cene.
No, la crociera decisamente non fa per me, grazie a David Foster Wallace per avermelo spiegato con dovizia di dettagli e situazioni imbarazzanti. Semmai un giorno deciderò di andarci comunque, sarò preparata e la sfrutterò soprattutto come occasione di studio sociale.




Ora, io ho trentatré anni, e sento di aver già vissuto tanto e che ogni giorno passa sempre più velocemente. Ogni giorno sono costretto a compiere una serie di scelte su cosa è bene e cosa è male o importante o divertente, e poi devo convivere con l’esclusione di tutte le altre possibilità che quelle scelte mi precludono. E comincio a capire che verrà un momento in cui le mie scelte si restringeranno e quindi le preclusioni si moltiplicheranno in maniera esponenziale finché arriverò a un qualche punto di qualche ramo di tutta la sontuosa complessità ramificata della vita in cui mi ritroverò rinchiuso e quasi incollato su di un unico sentiero e il tempo mi lancerà a tutta velocità attraverso vari stadi di immobilismo e atrofia e decadenza finché non sprofonderò per tre volte, tante battaglie per niente, trascinato dal tempo. E’ terribile. Ma dal momento che saranno proprio le mie scelte a immobilizzarmi, sembra inevitabile, se voglio diventare maturo, fare delle scelte, avere rimpianti per le scelte non fatte e cercare di convivere con essi.


Il nostro maître del Ristorante Caravelle a cinque stelle è portoghese, ha il collo taurino e il ghigno e le palpebre pesanti di un autotrasportatore e dà l'impressione di aver bisogno solo di qualche cenno di intesa per farvi trovare in cabina una prostituta da 10.000 dollari l'ora o sostanze inimmaginabili; e tutto il nostro tavolo 64 lo detesta senza una ragione precisa, e ci siano messi d'accordo che alla fine della settimana lo manderemo regalmente affanculo.
Ormai è una parola abusata e banale, disperato, ma è una parola seria, e la sto usando seriamente. Per me indica una semplice combinazione – uno strano desiderio di morte, mescolato a un disarmante senso di piccolezza e futilità che si presenta come paura della morte. Forse si avvicina a quello che la gente chiama terrore e angoscia. Ma non è neanche questo. È più come avere il desiderio di morire per sfuggire alla sensazione insopportabile di prendere coscienza di quanto si è piccoli e deboli ed egoisti e destinati senza alcun dubbio alla morte. La cabina è lunga tredici Adidas per dodici

(...) Jurassic Park (che a dire la verità non sta in piedi: la fondamentale assenza della trama emerge chiaramente solo a partire dalla terza visione, quando il semi-agorafobico lo guarda come un film porno, girandosi i pollici fino alle scene del Trannosaurus Rex e del Velociraptor (che invece fanno la loro figura)).

È il tipo di luce adatto a persone benestanti e ben consce dell'importanza delle apparenze che desiderano un quadro esatto di ciò che in quel dato giorno potrebbe essere esteticamente problematico a che allo stesso tempo vogliono essere rassicurati sul fatto che la situazione estetica generale è tutto sommato buona.

Alla mia destra (sudest), ora, un'altra meganave da crociera sta avanzando, credo molto vicino a noi, a giudicare dalla manovra. Si muove come una forza della natura e fa pensare che è incredibile che una massa così enorme venga manovrata da niente più di una mano su un timone. Non riesco nemmeno a immaginare come si possa manovrare una creaturina del genere in un molo come questo. Dev'essere come parcheggiare un autoarticolato in uno spazio grande esattamente quanto l'autoarticolato con una benda sugli occhi e quattro pasticche di LSD in corpo.

C'è qualcosa di inequivocabilmente capronesco in un turista americano che si muove all'interno di un gruppo. Hanno una certa flemma avida. Anzi, abbiamo. Nel porto diventiamo automaticamente Peregrinatores Americani, Die Lumpenamerikaner. Gli Orrendi. Per me, la caproscopofobia (= terrore patologico di essere considerato un caprone) è una ragione persino più forte della semi-agorafobia per decidere di stare sulla nave quando attracchiamo nel porto. È nel porto che mi sento coinvolto più di ogni altro momento, colpevole di associazione percepita. Raramente sono uscito dagli Stati Uniti finora, e mai come membro di un gregge ad alto reddito, e nel porto - persino da quassù, sul ponte 12, mentre guardo soltanto - ho una nuova e spiacevole coscienza di essere americano, allo stesso modo in cui mi rendo improvvisamente conto di essere bianco ogni volta che sono attorniato da molte persone non bianche.

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