Il Lupo di Wall Street, di Jordan Belfort



 Non c’è nobiltà nella povertà.



Come staranno facendo in molti in questo periodo (o almeno spero), ho letto questo libro incuriosita (anche se sarebbe meglio dire conquistata) dall'omonimo capolavoro di Scorsese, magistralmente interpretato da un Leonardo DiCaprio in forma smagliante (Leo, per me l'hai vinto tu l'Oscar, non c'è storia). La diretta conseguenza, è stata che non ho potuto fare a meno di immaginarmi, durante la lettura, Leo come Jordan Belfort, Jonah Hill come Danny Porush (anche se nel film gli hanno cambiato nome, e il vero Porush non è così in carne) e via via fino al buon Shane di The Walking Dead, Jon Bernthal, nei panni di Todd Garret (anche lui rinominato in Brad Bodnick nel film).

A tutti quelli che hanno amato il film, raccomando vivamente la lettura di questa autobiografia. Belfort è veramente una persona interessante, e nonostante la sua vita vada letteralmente a scatafascio a causa delle dipendenze da sesso e droga (ma diciamocelo: devi avere un ego mostruoso, una sicurezza nelle tue capacità esorbitante per riuscire a raggiungere tali picchi di successo economico, la droga e il sesso sono alla fine un altro modo di esercitare potere. Un modo forse malato perchè fuori ogni controllo, certo immorale, ma non poi tanto strano), ammirevole nella sua tenacia. Lasciatemi spiegare perché.


Belfort ha indubbiamente un'intelligenza vivace, non ho idea di quanto sia il suo Q.I., ma posso scommettere che sia parecchio sopra la media. Inoltre ha una caparbietà invidiabile. Decide che nella sua vita vuole essere ricco, vuole diventare un "padrone dell'Universo", e mette in atto ogni mezzo per farcela. Certo, sono mezzi prevalentemente (direi quasi esclusivamente) illeciti, e non è magari questa parte da ammirare e prendere ad esempio, ma la volontà incrollabile invece sì.

Analizziamo un attimo la sua storia: intorno ai vent'anni si mette nell'industria della carne e riesce a crescere abbastanza da avere una Porche. L'azienda fallisce, e invece che rassegnarsi se ne va a Wall Street a rimettersi in gioco. Le cose non vanno come aveva sperato, c'è un crollo dell'economia e così si ritrova di nuovo a spasso. Ricordiamo che è ancora giovanissimo. Di nuovo, si rimbocca le maniche e fonda la Stratton Oakmont, una società di brokeraggio che nel giro di pochissimo tempo (e molti, molti intrallazzi per niente legali arrangiati ad arte da un geniale Belfort) lo rende multimiliardario, con una mega villa, un elicottero, un jet, uno yacht enorme, una modella come moglie e una schiera di domestici. 
Nel giro di qualche anno, però, gli organismi di controllo iniziano a stargli con il fiato sul collo, e per garantirsi un futuro benestante Belfort è costretto a patteggiare, lasciare la Stratton al suo vice e compagno di malefatte Danny Porush e rinunciare per sempre a fare (ufficialmente) il broker. Potrebbe ritirarsi a bella vita, di soldi in fondo ne ha e anche parecchi, ma è un vulcano, non riesce ad immaginarsi a non fare nulla, per cui (e anche per altri motivi, tra cui non perdere soldi già suoi che sono però sotto forma di azioni in mano ai vari buchi neri) si butta nella Steve Madden Shoes, un'azienda emergente di scarpe di proprietà di un amico d'infanzia di Danny Porush, e nel giro di pochi anni la porta ad avere un giro d'affari enorme, cosa che gli rende ancora una volta uno stipendio milionario. La Steve Madden (come potete vedere dal link) è tutt'ora esistente, anzi è un'azienda multimilionaria che vende in tutto il mondo.
Il libro termina con lui ormai alla deriva, che deve andare in rehab per qualche tempo e la moglie, esasperata, lo sta lasciando (in realtà, poi ci tiene a specificare che ora sono grandissimi amici, anche se entrambi innamorati di altre persone). Alla fine l'FBI (l'incorruttibile agente Coleman) riesce ad incastrarlo, ma mentre nel film Belfort finisce in un carcere di lusso per 36 mesi, nella realtà i mesi sono solo 22. E quando esce, di nuovo non si lascia prendere dallo sconforto di avere perso praticamente tutto, ma ha una nuova brillante idea. Potrebbe fare una delle cose che gli vengono meglio in assoluto: motivare la gente. Così, è diventato un coach di successo, e tiene seminari e corsi su come migliorare le proprie abilità di vendita usando le sue incredibili strategie di persuasione (in modo assolutamente onesto ed etico, ci tiene a specificare) - se vi interessano i suoi corsi, potete trovare tutto QUI - Inoltre, ha scritto la sua autobiografia, che appunto è appena diventata la sceneggiatura di un cult movie candidato all'Oscar (qualcosa di diritti avrà pur guadagnato, no? E anche se così non fosse - seh - la pubblicità che ne ottiene è inimmaginabile).
Lui si dice pentito, dice che non vive nella vergogna, ma che il senso di colpa per quello che ha fatto non lo abbandonerà mai, ma detto tra voi e me non è questo che traspare leggendo le pagine del libro. Io non ho percepito molta vergogna (a volte sì, in punti davvero, davvero eccessivi), ma piuttosto un po' di nostalgia. Della serie: "ragà, m'han beccato, mò devo rigare dritto. Certo però, bei tempi quelli...", come quando chiacchierando tra amici quarantenni con mogli e figli a carico ci si ritrova a ricordare di quando si collezionavano figure di cacca da completamente sbronzi, e magari poi ci si metteva pure alla guida. Ecco, sono quelle cose che si sa che sono sbagliate (MOLTO sbagliate), che ti vergogni di aver fatto e ringrazi dentro di te di esserne uscito vivo e di non aver ammazzato mai nessuno, ma sotto sotto un po' quei momenti anche ti mancano. Elevato tutto all'ennesima potenza, è questa la sensazione che ho avuto leggendo le pagine scritte da Belfort. A dire il vero, sarebbe stato fin troppo facile scrivere un libro permeato di senso di colpa e autoflagellazione, trovo invece molto più onesto (lo so, questo termine, usato in questo contesto, ha del ridicolo) che si mostri così com'è, il Lupo di Wall Street e il suo Lifestyles of the Rich and Dysfunctional.

Tornando al libro in sé, è interessante e da un certo punto di vista stupefacente scoprire che le scene più assurde e che sembrano inventate del film (il lancio del nano, la rasatura dell'assistente alle vendite, il naufragio dello Yatch, il sesso in ufficio e in ogni altro posto possibile, il ritorno strafatto in macchina dal country club) sono in realtà accadute davvero e minuziosamente descritte nel libro.
Inoltre, vivendo a stretto contatto con il mondo della finanza (il mio compagno fa questo di mestiere, per cui anche l'altra sera ero ad una cena con colleghi e mogli in cui si sprecavano le battute su portafogli clienti, andamento della borsa e provvigioni sulle azioni, e anche ora mentre scrivo in sottofondo ho i commenti sulla giornata in borsa per tv - certo, io vivo il lato onesto del settore, e ne è testimonianza il fatto che scrivo da una casa con mutuo trentennale e segno minuziosamente tutte le spese, ma tant'è), trovo sempre affascinante leggere storie su quello che ci sta intorno (o dietro, nell'ombra).

Di sicuro, quindi, è un libro che consiglio. È divertente, velocissimo da leggere nonostante non sia proprio corto, sconvolgente (per chi non ha visto il film. Chi ha visto il film, è già rimasto sconvolto abbastanza per cui è preparato), assurdo, tutto sommato ben scritto. Alcune parti sono tirate un po' in lungo, avrei tagliato un po', ma a parte questo gradevolissimo. Come un romanzo. Peccato che è tutto vero.






La follia si era rapidamente impossessata di me e alla fine del '93 ormai avevo la strana sensazione che m'avessero sbolognato un ruolo di primo piano in un reality televisivo, un genere che all'epoca non era ancora di moda. Il mio spettacolo si chiamava Lifestyles of the Rich and Dysfunctional e ogni giorno pareva funzionare peggio del precedente.
Avevo avviato una società di brokeraggio, la Stratton Oakmont, adesso una delle maggiori e di gran lunga la più azzardata nella storia del mercato finanziario americano. A Wall Street si diceva che dovevo avere molta voglia di morire e che senz'altro sarei finito al cimitero ben prima di raggiungere i trenta. Ma erano stupidaggini, perché avevo appena compiuto trentun anni ed ero ancora vivo e vegeto.
In quel momento, un mercoledì notte di metà dicembre, sedevo ai comandi del mio elicottero Bell Jet a due motori accoppiati e andavo all'eliporto della Trentesima Strada nel centro di Manhattan alla mia tenuta di Old Brookville, Long Island, con in corpo una quantità di farmaci sufficiente a sedare un intero stato di medie dimensioni.


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4 commenti:

James Ford ha detto...

Spero di recuperarlo a breve.
Se vale anche solo la metà del film, sarà uno dei miei cult dell'anno.

Lennie MissSparkle ha detto...

Per più della metà della lunghezza del libro, l'impressione è di "leggere il film", quindi secondo me non ne rimarrai affatto deluso!! :D

Cannibal Kid ha detto...

è già in lista.
vedrò di leggermelo prima che la febbre per the wolf scenda :)

Lennie MissSparkle ha detto...

Lo stesso pensiero che ho fatto io, per questo l'ho letto subito appena ho avuto un buco nelle letture :D