Addio all'Estate, di Ray Bradbury



"Ci pensi mai, alla Terra che gira a quarantacinquemila chilometri al secondo o giù di lì? Potrebbe scaraventarti nel vuoto, se chiudessi gli occhi e dimenticassi di reggerti."

 Da vera tonta, ho scoperto che "Addio all'Estate" è il seguito (o la conclusione) di "L'estate incantata", che ovviamente non ho mai letto -anzi, non ancora- solo alla fine del romanzo, leggendo la postilla di Bradbury che ne spiega la genesi, per cui non posso apprezzarlo nel complesso per com'è stato ideato, ma solo come romanzo a sé stante.

Il tema del romanzo è il senso della vita, la paura di crescere e di invecchiare, di perdere la freschezza della giovinezza e ridursi ad un guscio vuoto e avvizzito.

Il protagonista, Douglas, si rende improvvisamente conto dello scorrere del tempo, e decide che sono i vecchi che manovrano i giovani e li sfruttano per farli diventare come loro, e i vecchi in effetti hanno proprio più o meno queste intenzioni (o per lo meno le ha il vecchio Quartermain), per cui Douglas e i suoi amici ingaggiano battaglia contro i vecchi, contro il tempo, contro l'inevitabile processo che li condurrà all'età adulta, e poi alla vecchiaia e alla morte. Prima si privano dei veleni che fanno invecchiare precocemente il loro corpo (come i dolci), esperimento che ha davvero breve durata dato che i ragazzini, si sa, sono sempre affamati. Poi rubano i pezzi degli scacchi, certi che attraverso di essi i vecchi li manovrino ogni giorno. Infine, il piano più ardito: rompere il grande orologio cittadino, quello che sancisce lo scorrere del tempo. Ma pur riuscendo nel loro intento, scopriranno che la vita non si ferma.
Saranno una serie di imprevedibili circostanze (una fetta di torta offerta al nemico, il bacio di una ragazza alla casa infestata, una tenda misteriosa contenente macabri reperti in formaldeide) a porre fine a questa guerra in cui non ci sono né vincitori né vinti, con Quartermain che comprende che i giovani sono necessari per dare un senso ai vecchi, e Douglas che cresce entrando d'improvviso nella pubertà, e in contemporanea il vecchio dice addio alla propria virilità, in un metaforico cerchio della vita che continua trasmettendosi dall'uno all'altro.

Il romanzo è poco descrittivo e molto filosofico, e per stessa ammissione di Bradbury estremamente autobiografico (ne "Lo zen e l'arte della scrittura" racconta tra le altre cose di aver davvero visitato una tenda come quella descritta in questo romanzo). È inoltre l'ultimo romanzo pubblicato prima della sua morte, anche se la sua genesi risale a cinquantacinque anni prima, come conclusione de "L'estate incantata", e fu una scelta dell'editore di alleggerire il romanzo tagliando questa parte, tenendola da parte per il futuro, e non è forse un caso che questa conclusione, con le sue riflessioni sulla vita e la morte, sia finalmente stata pubblicata verso la fine della vita di Bradbury, come la chiusura velata di dolce nostalgia della lunga carriera di uno straordinario autore. 


"Allungò una mano e scoprì che sulla bocca gli aleggiava una cosa strana, un sorriso. Cercò di afferrarlo, se possibile di esaminarlo da vicino."  

"Ho fatto questo? Quindi hanno vinto loro."
"Magari non se ne rendono conto, ma la risposta è sì. Come ogni volta che fai un passo avanti anche se non vorresti" disse Bleak. "Anche quando ti fa male, quando significa che hai sfiorato la morte, persino quando muori: va bene lo stesso. Chiunque faccia un passo avanti, vince. Nessuna partita a scacchi è mai stata vinta dal giocatore che resta seduto tutta la vita a meditare la prossima mossa."
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