La Campana di Vetro, di Sylvia Plath




"Per la persona che è sotto la campana di vetro, vuota, e che è bloccata là dentro come un bimbo morto, il mondo è in sé un brutto sogno."


Meraviglioso e terribile, angosciante e poetico. 

Sapere poi che la storia è in larga parte autobiografica e che la Plath si suicidò un mese dopo la pubblicazione del suo unico, splendido, romanzo, dona alla lettura tutta un'altra profondità, e alla fine, sarà forse perché il periodo in cui ho letto questo romanzo è forse il più azzeccato per farmelo "sentire" davvero, ho lasciato Esther controvoglia, come se abbandonassi un'amica al suo infelice destino di donna con una mente così acuta e anticonformista da non riuscire a trovare il suo posto del mondo. O meglio, da non poter accettare il posto che il mondo le ha riservato. 

Ho amato
moltissimo questo romanzo mentre lo leggevo, e mi sono accorta di amarlo ancora di più adesso che l'ho finito, il che vuol dire che mi è entrato dentro e si è scavato un piccolo spazio nella mia anima, dove vivrà per sempre insieme alle mie storie preferite. Peccato che abbia scritto un solo romanzo (ho comunque letto alcune delle sue poesie, e sono rimasta molto colpita), ma forse era solo questa la storia che le premeva di raccontare prima di fuggire per sempre dalla campana di vetro.

"Se nevrotico vuol dire desiderare contemporaneamente due cose che si escludono a vicenda, allora io sono nevrotica alll'ennesima potenza. Volerò su e giù dall'una all'altra per il resto dei miei giorni!" (AMEN, SORELLA!!! Siamo in due!)

Muoio dalla voglia di leggere i "Diari" della Plath, sono già in wishlist per il prossimo mese (questo mese ho esagerato con l'acquisto di libri, tanto per cambiare... e il fatto che per marzo ne abbia già almeno 4 in attesa mi preoccupa un po', visto che il mese non è nemmeno cominciato...)
Ringrazio la mia sfida da lettrice (QUI), e di conseguenza Gilmore Girls, per avermi fatto scoprire questa autrice.


Tirai un sospiro profondo e ascoltai il vecchio canto del mio cuore: "Io sono, io sono, io sono."

Come facevo a sapere se un giorno o l'altro - al college, in Europa o in qualche altro luogo, in qualsiasi luogo - la campana di vetro, con le sue distorsioni opprimenti, non sarebbe discesa di nuovo sopra di me?

Avrei voluto dirle: magari ci fosse qualcosa che non va nel mio corpo! Avrei preferito di gran lunga essere malata nel corpo, che malata nella testa, ma sembrava un ragionamento talmente complesso e faticoso, che non dissi niente.

La voce interiore che mi esortava a non fare la stupida fuggì come una zanzara sconsolata. E il pensiero che mi sarei potuta ammazzare prese spassionatamente forma nella mia mente, come un albero o un fiore.  


Mi piaceva guardare gli altri in situazioni cruciali. Se c'era un incidente stradale o una rissa o un bimbo sotto spirito dentro un boccale di vetro a forma di campana in laboratorio e che mi si offriva la possibilità di vedere, mi fermavo e guardavo con tale intensità da non potere più dimenticare.
Certamente in questo modo imparai un mucchio di cose che altrimenti non avrei mai appreso; e anche quando queste mi sorprendevano o mi facevano venire la nausea, non mollavo mai e fingevo comunque di aver sempre saputo come le cose erano realmente.





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